Molti bambini utilizzano termini così “incisivi” tanto che, qualche anno fa una psicologa siriana, Masal Pas Bagdadi, pubblicò un libro intitolato proprio: “Ti cuocio, ti mangio, ti brucio e poi ti faccio morire” (Rizzoli, 1992).
Le parole dei bambini possono, comunque, esprimere uno stato d’animo di disagio, che va accolto e compreso. È necessario trovarne il senso e individuare una modalità per rassicurarlo e aiutarlo a comprendere quanto possa essere nocivo esprimere la sua rabbia, anche solo metaforicamente, in maniera autolesiva.
Bisognerebbe verificare se le espressioni del bambino abbiano prevalentemente un intento shock (finalizzato a colpire in un vostro punto debole) oppure manifestino una tendenza auto-aggressiva e colpevolizzante, di fronte ai conflitti relazionali. In questo caso, anche con supporto di un esperto, è necessario aiutare il piccolo affinché canalizzi le sue emozioni in maniera diversa.
Spesso i bambini si percepiscono “causa” della loro sofferenza e di quella degli adulti; si assumono la responsabilità di quanto accade nella vita familiare, rileggendo il tutto in maniera “ferocemente” autocritica. Per esempio, alla nascita di un fratello, che temono sottragga loro attenzioni ed affetto, possono ipotizzare di non essere stati sufficientemente buoni ed amabili e, con il loro comportamento inadeguato, di avere indotto i genitori a “tradirli” con un altro bambino.
di Maria Rita Parsi
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