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Una famiglia unita non teme di aprirsi alla comunità

"Tutti noi, divenuti sensori di un problema, possiamo avere un ruolo efficace nella rete di prevenzione e intervento alle difficoltà che incontrano le famiglie". Lo psicoterapeuta e direttore scientifico dell'associazione GeA- Genitori Ancòra, Fulvio Scaparro ci parla di come la comunità possa essere uno strumento di prevenzione al malessere familiare.

16.12.2019

Una famiglia unita non teme di aprirsi alla comunità - Immagine: 1
Ormai  è diventata “virale”, per usare un termine alla moda, la citazione del proverbio africano “Per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio”. Assistendo alla proiezione di un bel film di Thomas McCarthy del 2015 Spotlight (titolo italiano Il caso Spotlight), ho notato che uno dei protagonisti, Mitchel Garabedian, ne dà una versione illuminante in tema di abusi all'infanzia: se ci vuole un villaggio per crescere un bambino, ci vuole un villaggio per abusare di lui. 

Il film tratta di uno degli abusi peggiori che i bambini possono subire, la pedofilia, ma la citazione può essere applicata anche al tema di cui ci stiamo occupando in queste note: il maltrattamento all'infanzia da cattiva separazione. 

Dobbiamo, infatti, chiederci se le guerre familiari sono una questione tutta interna alle famiglie o se invece, come io ritengo, sono proprio il frutto della chiusura della famiglia alla comunità. In ogni contesto, la chiusura e l’isolamento sono all'origine di molte sopraffazioni ai danni dei soggetti meno protetti, i bambini, le donne, gli anziani, i disabili. 

L’esperienza mi ha insegnato che un gran numero di bambini e bambine assistono ogni giorno, impotenti, alle battaglie senza esclusione di colpi tra padre e madre nel chiuso delle mura domestiche, salvo poi esplodere pubblicamente in battaglie legali costosissime dal punto di vista psicologico ed economico. In casi come questi, la comunità non è coinvolta per propria indifferenza o per la diffidenza della famiglia stessa, convinta che “i panni sporchi si lavano in casa”. Si rinuncia così all'aiuto di amici, della scuola, degli esperti, delle comunità religiose e di tutte le non poche persone di buona volontà che potrebbero svolgere opera di pacificazione disinteressata. 

Se tutti sapessimo quanto sia d’interesse collettivo la pace in famiglia, quante difficoltà crea alla vita comunitaria chi vive in una famiglia squassata da lotte intestine ed esporta a scuola, nel lavoro, nel tempo libero, il dolore e il rancore della mancanza di affetti, saremmo molto più impegnati a dare una mano alle famiglie in difficoltà, cercando di dimostrare nei fatti che nel sostegno della comunità si può avere fiducia. 

Una comunità sensibile alle minacce alla salute e al benessere dei bambini si rivela tale attraverso i suoi “sensori”. Nel linguaggio tecnologico, un “sensore” è un dispositivo in grado di rilevare dati fisici dall'ambiente circostante e trasmetterli a un sistema di controllo. Anche noi esseri umani, però, siamo dei sensori.

Per esempio, nel momento in cui avvertiamo che un bambino o una bambina è in pericolo, dovremmo attivarci per aiutare chi è indifeso. Ma non sono solo i pediatri gli unici “sensori” dei problemi dei bambini. I parenti, gli amici, i vicini, gli educatori dovrebbero essere dei sensori. Tutti noi che lavoriamo a vario titolo a contatto con le guerre familiari dovremmo essere talmente sensibili alla condizione dei figli, da individuare per tempo i problemi e le difficoltà che stanno affrontando e da mettere al centro della nostra azione il loro benessere. 

Tutti noi, divenuti sensori di un problema, possiamo avere un ruolo efficace nella rete di prevenzione e intervento

Il ruolo del sensore è delicato perché deve muoversi con attenzione per non peggiorare le cose, aiutare per quanto nelle sue possibilità e, quando è necessario, segnalare le situazioni di pericolo a persone competenti che sanno come muoversi correttamente. E, tornando al proverbio africano “ci vuole un’intera comunità per proteggere un bambino.”


Articolo comparso su Educare03, n. 6.

Fulvio Scaparro, psicoterapeuta e direttore scientifico dell'associazione GeA- Genitori Ancòra.

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